Montesquieu, «Lo spirito delle leggi», Rizzoli, Milano 2007, Volume I.

Nelle foto sotto, dal volume indicato, il primo e il secondo capitolo del libro terzo [p. 167] – rispettivamente ”Differenza fra la natura del governo e il suo principio” e ”Del principio dei diversi governi” – e il “Sommario“.

Di seguito l’inizio del paragrafo dedicato a «Lo spirito delle leggi» in «Storia del pensiero politico», «On Politics», Alan Ryan, prefazione di Giovanni Borgognone, Utet, Novara 2017 [pp-367-368].

La legge e lo «spirito» delle istituzioni

«Lo spirito delle leggi» inizia con qualche idea generale sulla natura della legge. Esse sono così confuse che ci si potrebbe chiedere se Montesquieu le intendesse solo come un pio abbellimento. «Le leggi, prese nel loro significato ampio, sono le relazioni necessarie che derivano dalla natura delle cose; e in questo senso, ogni essere ha le proprie leggi: la divinità ha le proprie leggi, il mondo materiale ha le proprie leggi, le intelligenze superiori agli uomini hanno le proprie leggi, gli animali hanno le proprie leggi, gli uomini hanno le proprie leggi». La legge di natura può o meno guidare gli animali; come gli esseri umani, essi hanno l’abilità unica di scegliere se farsi guidare o meno dalla legge divina o dalla legge di natura, e molto spesso non lo fanno. Quindi la natura si prende la sua rivincita perché le loro vite vanno male, e così ricordan loro che l’imprudenza è la loro punizione.

Per una mente analitica moderna, questo discorso confonde la legge di natura nel senso delle leggi fisiche che governano il mondo e la legge di natura nel senso delle regole non scritte che il genere umano dovrebbe seguire. Certamente ignorare la prima è imprudente come sfidare la legge di gravità lanciandosi da una finestra. Se ignorare la seconda porti a una punizione, è ciò che tutti discutono quando insistono sulla necessità di un governo. In aggiunta, Montesquieu assume una visione profondamente naturalistica delle origini del governo e quindi della legge positiva. Nella misura in cui funziona la legge positiva, egli distingue tra la legge delle nazioni, che governa i rapporti reciproci tra stati autonomi, la legge politica o costituzionale, che governa i rapporti tra lo Stato e i suoi sudditi, e la legge civile, che governa i cittadini nei rapporti tra loro. Ogni scrittore moderno traccerebbe le stesse linee .

Egli quindi mette da parte la comune tripartizione dei governi, ovvero monarchico, aristocratico e democratico, in favore della sua divisione tra repubblicano, monarchico e dispotico. La natura del governo è distinta da suo «spirito». La natura della Repubblica è che la sovranità è allocata nel popolo ed esercitata da tutto il popolo; in una monarchia un solo uomo è la fonte della legge, ma governo attraverso istituzioni intermedie, fissando e stabilendo le leggi, mentre in un dispotismo comanda un solo uomo, senza legge e in base ai suoi capricci. Lo spirito, o il principio animatore, è la virtù nella Repubblica,, l’onore nella monarchia e la paura nel dispotismo. Sembra arrivato il momento in cui la moderna distinzione tra monarchia e repubblica è diventata chiara, ma non è così. L’esistenza della categoria dei regimi dispotici rivela che Montesquieu ha in mente qualcosa di un po’ diverso dalla comune distinzione tra Stati con capi eletti e Stati con capi ereditari. Egli si occupa dello «spirito» dello stato.

Atene era una Repubblica democratica, Sparta una repubblica aristocratica, con un paio di re ereditari; entrambe erano repubbliche. La Gran Bretagna aveva un aristocrazia relativamente indipendente che giocava un ruolo importante in politica, ma sia quella inglese sia quella francese erano monarchia; l’impero Ottomano era un dispotismo. Montesquieu non si oppose alla distinzione aristotelica del governo di uno, dei pochi e dei molti, ma Aristotele e tutti gli altri autori classici erano confusi a proposito della natura della monarchia e si erano limitati a discutere della forza o della debolezza personale che un singolo governante porta al suo lavoro. Questo ragionamento non giunge al principio animatore del governo monarchico e disegna solo la qualità di questo o quel monarca. Aristotele tratta la Persia e Sparta come monarchie, ma la prima è un dispotismo e la seconda una repubblica. Gli autori Greci non conobbero mai niente che assomigliasse a una monarchia moderna.

Le città-stato erano spesso governate da un solo uomo, ma si trattava di un interludio tirannico o di un governo basato sul libro assenso a un leader straordinario – come Pericle all’apice della democrazia ateniese. Non dobbiamo confondere lo spirito che anima un regime con i propositi ai quali questa o quella nazione sono votati. Lo spirito che anima una repubblica è la virtù, quello di una monarchia l’onore e del dispotismo la paura. La virtù in questo contesto è molto simile alla virtù di cui parlava Machiavelli affermando che cittadini Romani l’avessero posseduto nei giorni gloriosi della Repubblica; è spirito pubblico piuttosto che rettitudine morale. D’altra parte, lo spirito animatore di un sistema politico non detta i suoi obiettivi. Roma organizzata per l’espansione la conquista; Sparta, sebbene organizzata per la guerra, non era organizzata per l’espansione; Atene era organizzata per il commercio e la colonizzazione. Tutte erano le pubbliche, sebbene attraverso i secoli Roma fosse diventata qualcosa di molto diverso. […]

Di Diego Giovanni Paolo Greco

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Pubblicato da diegogiovannipaologreco

I miei interessi, studi e le mie passioni si rivolgono principalmente alla filosofia, alla psicologia, allo sviluppo personale e all'attività fisica.

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